Louis-Ferdinand Destouches e la frattura con la narrativa tradizionale. La disumanizzazione dell'uomo avvolto da un buio morale. Influenzerà scrittori come Genet e Bukowski.
Quando Voyage au bout de la nuit viene pubblicato nel 1932, la Francia letteraria riceve un pugno nello stomaco. Louis-Ferdinand Céline, fino ad allora medico sconosciuto, irrompe sulla scena con un romanzo che, per stile e contenuto, segnerà una frattura con la narrativa tradizionale. Ma per comprendere l’impatto e la portata di quest’opera, bisogna risalire alla vita dell’autore e al clima storico in cui nasce questo straordinario “viaggio”.
Louis-Ferdinand Destouches, che adotterà lo pseudonimo Céline (dal nome della nonna), nasce nel 1894 a Courbevoie, periferia parigina della piccola borghesia. Cresce in un ambiente familiare modesto: il padre è impiegato in una compagnia di assicurazioni, la madre gestisce un piccolo negozio di merletti. Céline non nasce con l’inchiostro nelle vene: prima di approdare alla scrittura, attraversa esperienze radicali che plasmeranno la sua visione del mondo.
Durante la Prima Guerra Mondiale si arruola volontario e viene ferito gravemente nel 1914. L’esperienza al fronte lo segnerà per sempre: la violenza, l’idiozia della guerra, la sofferenza dei soldati diventano elementi centrali della sua narrativa. Dopo la guerra, studia medicina e lavora per la Società delle Nazioni, viaggiando in Africa e in America. Da medico, si confronta con la povertà estrema, le malattie tropicali, l’ipocrisia dell’apparato coloniale. Tutto questo confluisce in Viaggio al termine della notte, che non è solo un’opera letteraria, ma un grido esistenziale contro l’inganno della civiltà moderna.
Il romanzo segue il protagonista Ferdinand Bardamu, alter ego trasparente dell’autore, attraverso una serie di peregrinazioni geografiche e morali. Dalla carneficina del fronte occidentale alla giungla africana, dai quartieri operai di Detroit ai sobborghi parigini, Bardamu attraversa il mondo cercando un senso che non trova. La notte del titolo non è solo quella esteriore, ma soprattutto quella interiore: una metafora dell’oscurità dell’animo umano, della menzogna che avvolge la società borghese e i suoi valori.
Céline rompe con la tradizione letteraria francese sia sul piano stilistico che ideologico. Il suo linguaggio è un misto di slang, gergo, oralità e frammentazione. Una lingua che riflette il caos dell’esperienza, lontana dalla retorica accademica. Céline scrive come si parla nelle strade di Parigi, con rabbia e ironia, in un flusso che sembra spontaneo ma è in realtà frutto di un lavoro maniacale di riscrittura. Il suo stile influenzerà profondamente autori come Jean Genet, Samuel Beckett e Charles Bukowski.
Il cuore della polemica céliniana è la denuncia della guerra e dell’ideologia patriottica. Bardamu guarda i suoi compatrioti come vittime e carnefici di un’illusione mortale. Ma non c’è nemmeno traccia di idealismo pacifista: Céline è troppo disilluso per abbracciare una causa. Il suo nichilismo è radicale: l’umanità è dominata dalla paura, dall’egoismo e dall’ipocrisia. Solo alcuni lampi di tenerezza – soprattutto verso i reietti e i malati – lasciano intravedere una compassione sotterranea, che rende il romanzo meno cinico di quanto sembri.
Il successo del Viaggio fu immediato ma controverso. Nonostante le reazioni scandalizzate, l’opera vinse il prestigioso Prix Renaudot (e non il Goncourt, che gli fu negato probabilmente per motivi politici e stilistici). Céline divenne una celebrità letteraria ma anche un autore divisivo. Con il tempo, le sue posizioni ideologiche – in particolare l’antisemitismo virulento degli anni successivi – avrebbero offuscato la sua immagine e sollevato interrogativi etici sulla separazione tra uomo e scrittore. Tuttavia, Viaggio al termine della notte resta un capolavoro a sé stante, capace di resistere al tempo e alle polemiche.
A quasi un secolo dalla sua pubblicazione, il Voyage conserva intatta la sua forza dirompente. È un’opera che parla dell’angoscia dell’uomo moderno, della brutalità del potere, dell’alienazione del lavoro, del fallimento delle ideologie. Bardamu è un reduce non solo della guerra, ma della civiltà stessa: un antieroe che rinuncia all’illusione per raccontare, con lucidità feroce, il fondo oscuro dell’esistenza.
Céline, medico e narratore, non offre cure né salvezza. Ma con il suo romanzo ci costringe a guardare in faccia la malattia del secolo: la disumanizzazione dell’uomo in un mondo che ha smarrito la luce.
Viaggio al termine della notte non è una lettura rassicurante, ma è proprio per questo che continua a parlarci, con una voce ruvida e sincera, che ancora oggi non ha eguali.
G.F.